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‘Un brindisi a Gianni!’

‘Game, set, match. Jannik Sinner wins’

Rino Tommasi nel 1971

Come sarebbe stato bello sentire Gianni Clerici e Rino Tommasi commentare il primo storico successo di un italiano a Wimbledon. L’hanno pensato un po’ tutti, in un modo o nell’altro, dai telecronisti della finale Sinner-Alcaraz fino ai tifosi sul divano.
L’ha pensato sicuramente anche Giuliano Malatesta, che sul quotidiano Il Manifesto ha pubblicato un bell’omaggio alla strana coppia Gianni-Rino, in cui si legge di un particolare gesto che non è passato inosservato:

L’altra sera, al termine di una cena indiana eccessivamente piccante a Wimbledon Village, Stefano Semeraro, stimato giornalista de La Stampa e direttore di Il Tennis Italiano, la più antica rivista di tennis, ha alzato il bicchiere invocando un brindisi: “a Gianni”. Non è la prima volta che accade, non sarà certo l’ultima.

Nessuno lo chiama per cognome. Gianni, dicono tutti. E via con gli aneddoti più strani: “Ti ricordi di quella volta a Holland Park…?” Stessa sorte per Tommasi. Per tutti è Rino. Sin dal mio primo giorno qui all’All England Lawn Tennis Club a colpirmi, in positivo, sono stati il rispetto e la riverenza che i cronisti con una discreta anzianità di servizio utilizzano per parlare dei due noti giornalisti sportivi.

Stefano Semeraro, promotore di questo brindisi a Gianni a cui noi ci uniamo con affetto, è stato anche l’unico rappresentante della stampa italiana a essere invitato al Champions’ Dinner, la cena di gala all’hotel ‘The Raffles London at the OWO’, che culmina con il famoso ballo tra la vincitrice e il vincitore di Wimbledon, in questo caso Iga Świątek e il nostro Jannik Sinner. Una splendida serata, insomma, di cui ha parlato in un racconto da ‘spettatore privilegiato’ sul portale Il Tennis Italiano, che si conclude così:

Verso le 2 le macchine dell’organizzazione sono di nuovo pronte, la fila di signore in abiti scintillanti e gentleman in mise decisamente più adeguate della mia è lunga, ma veloce. Mi attende il viaggio di ritorno a Wimbledon, di nuovo attraverso una Londra magnifica e addormentata. Ma che giornata, ragazzi.

Se parliamo di viaggi verso Wimbledon, la mente non può che andare al leggendario racconto che Gianni faceva della sua personalissima odissea, quando nel 1953 raggiunse Church Road partendo da Como con la sua Fiat 500 modello Giardinetta. Di seguito alcuni estratti dell’aneddoto, tratti dal volume Quello del tennis. Storia della mia vita e di uomini più noti di me (Mondadori 2015):

Una bella mattina giunse il biglietto listato dai divini colori verde e viola dello All England Tennis and Croquet Club. Ero ammesso. Tutte le mie spese e il viaggio sarebbero state rimborsate con un biglietto da 50 sterline. Toccavo finalmente il cielo con la punta della mia Maxplay, la miglior racchetta del tempo, un lucidissimo legno assemblato che trascolorava dall’avorio al noce. Le corde, trasparenti sottili e sonore come quelle di un violino, erano anch’esse le migliori, Babolat e Maillot. Poiché le sterline non bastavano nemmeno per il biglietto aereo, avevo deciso di dividere le spese di viaggio con un amico tennista, Antonio Maggi. Ma al momento di partire, Maggi ebbe un impedimento, e mi misi per strada da solo, al volante della mia Fiat 500, modello Giardinetta.
Ad una media di 70 orari, Londra è lontana da Como. La raggiunsi dopo ventidue ore di guida ininterrotta, all’alba di un sabato mattina, e riuscii finalmente ad imboccare Church Road, lungo la quale sorgono le installazioni del grande Club. Scesi di macchina, mi appoggiai alle massicce barre dei Doherty Gates, e rimasi incantato.

Di lì, in musicale successione si perdeva una prospettiva di campi verdi. Un verde che non avevo mai immaginato, di una compattezza, una morbidezza, una bellezza struggenti. L’emozione mi strinse alla gola, e rimasi in uno stato di trance simile a quello del pellegrino che raggiunge Piazza San Pietro. Riguadagnai poi il sedile della 500, e caddi in un sonno profondo. A svegliarmi qualche ora dopo, fu un poliziotto, che mi costrinse ad allontanarmi, a parcheggiare altrove. Attesi che i cancelli si spalancassero, e m’infilai dentro, con la mia borsa, la racchetta, nella speranza di poter finalmente mettere piede su quel magico tappeto verde.